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Claudio Vergnani è, per quanto mi riguarda, il più grande scrittore horror italiano, inutile girarci attorno. Non è solo questo, però. Abbiamo a che fare con un autore colto, preparato e che sa Scrivere. I suoi libri ti coinvolgono, ti fanno dormire con una luce accesa e ti riportano a quando, nel dormiveglia, avevi paura del famigerato mostro sotto il letto o nascosto nell’armadio. Ma non è tutto, ti fanno anche sorridere o ridere di cuore davanti alla sfacciataggine dei suoi personaggi politically incorret, dannatamente sboccati e profondamente intelligenti. Li amerete, così come li amo io, è una promessa.
Carissimo, che bello intervistarti di nuovo dopo sei anni dalla prima volta 😀 Ho avuto il privilegio di presentarti dal vivo in due occasioni e sono stati momenti davvero esilaranti, diciamolo. Nel 2009 ti ho chiesto: chi è Claudio Vergnani? Te lo richiedo oggi, e se rispondi di nuovo un poveraccio, vengo lì e ti picchio (oppure ti minaccio e basta, sei pure grande e grosso).
Non sarà necessario usare le maniere forti. Oggi sono nella norma. Ma non perché le cose vadano meglio per me. Purtroppo stanno andando male per molti altri. Non sono “salito” io, dunque. Sono “scesi” tanti altri, purtroppo.
Grazie a te per l’intervista. Mi corre subito l’obbligo di smentire la tua affermazione. Se fossi il più grande scrittore italiano di horror, l’horror in Italia non esisterebbe più. Invece – sia pure spesso divisi da fiera rivalità professionale – ci sono diversi ottimi autori e naturalmente autrici che vi si cimentano – self o appartenenti a case editrici poco importa. E’ anche vero che alcuni di questi stanno prendendo la strada del giallo e del noir per… sfinimento.
Sei cambiato in questi anni?
Sì. Sono invecchiato. Che non significa che sono diventato più saggio, ma solo più vecchio. Ho visto tante cose che avrei preferito non vedere e altre che invece avrei voluto vedere non le ho viste e non le vedrò mai. Auguro maggior fortuna a chi verrà dopo di me.
La trilogia del 18° vampiro ( Il 18° Vampiro, Il 36° Giusto e L’ora più buia), I vivi, i morti e gli altri, Per ironia della morte, La Sentinella più altri racconti tra cui Lovecraft’s Innsmouth di cui parleremo dopo. Sei soddisfatto di quanto hai pubblicato?
Sì e no. I miei romanzi posseggono una loro personalità, una loro identità stilistica e – quale più, quale meno – hanno qualche apprezzabile idea. Ma si può fare – e spero di fare – di meglio.
Quale dei tuoi romanzi ti rappresenta e perché?
Letterariamente, sono cresciuto con loro, quindi, in questo senso, la Sentinella e Lovecraft’s Innsmouth – gli ultimi in ordine cronologico – sono quelli dove, oggi, mi “vedo” di più. Ma chi conosce le mie storie sa che la componente autobiografica è importante in tutte.
So che verrai tradotto all’estero, che ne pensi?
Niente. Essere tradotti non premia talento o applicazione. Di solito si deve a un buon lavoro della CE o all’iniziativa personale. Poi, naturalmente, ci sono le eccezioni. Ma la traduzione, a mio parere, non è necessariamente la cartina tornasole di un lavoro ben fatto. Lo dirò anche se mai verrò tradotto pure in birmano e in nepalese, giuro.
Raccontaci qualcosa su La sentinella, uscito ad aprile (dico bene?) di quest’anno.
La Sentinella è un romanzo di fantascienza (spero che si possa ancora usare tale termine).
Volevo descrivere una distopia che non scaturisse dalla solita bieca e trita tirannide che opprime il mondo e contro la quale il protagonista si oppone, per scelta o suo malgrado. Queste sono cose che abbiamo letto o visto al cinema, sia pure in salse diverse, centinaia di volte. Al contrario, volevo evidenziare come a volte, in determinate circostanze, le migliori intenzioni possano portare a risultati tragici (come dicono gli americani: good intentions, deadly results). Ho immaginato un mondo dove la ricerca del “bello”, del “nobile”, del “filosofico” e della “spiritualità” abbia condotto a trascurare il concreto e l’essenziale, con risultati catastrofici (e forse, detto tra noi, non è così fantascientifica, l’ipotesi). In tale contesto, il sincero ma errato esercizio del bene ha prodotto risvolti terribili.
Volevo inoltre partire dal presupposto dell’impotenza di qualsiasi genere di potere (in questo caso religioso) a fronteggiare le sfide di una società moderna, tecnologica, progredita, che però è incapace – paradossalmente più ancora oggi che in passato, quando i mezzi di comunicazione erano più primitivi – di darsi un’identità, di individuare un reale bene comune, e di gestire in modo equilibrato le proprie forze, frammentata com’è in nuclei di potere privi di scopo, se non quello immediato (e terribilmente miope) di aumentare tale potere.
Ho descritto la difficoltà di una presa di coscienza individuale – anche ma non necessariamente spirituale – delle proprie responsabilità umane, e la consapevolezza che una società può essere sostenuta e salvata NON gestendo le masse con la somministrazione di mere regole, sia pure importanti per il vivere civile, ma fornendo al singolo gli strumenti e la possibilità di coltivare la propria umanità. Se ciò avviene, un essere umano consapevole e responsabile potrà affrontare qualunque sfida senza moltiplicare gli errori che continuamente si ripetono sempre uguali nei cicli storici.
L’avventura del protagonista senza nome (egli può essere ognuno di noi) è una metafora “dell’attraversamento della Valle dell’Ombra e della Morte in chiave moderna”. Durante tale cammino egli maturerà la convinzione che l’unica causa per quale valga la pena di combattere e ricorrere alla violenza non è ideologica, ma pratica e naturale, ed è rappresentata dalla necessità di proteggere i deboli e gli inermi.
Ho cercato di delineare e proporre personaggi non stereotipati, e che non risultassero inquadrati in un mood rigido e statico dall’inizio alla fine del romanzo, ma che cambiassero e si modificassero “attorno” ad esso, esattamente come cambiamo noi esseri umani in base a quello che la vita ci propone, ci toglie, ci infligge o ci regala. Per questo, nel corso della storia, cambieranno anche il concetto di bene e male, di giusto e ingiusto, di corretto e di scorretto. Con le pesanti conseguenze del caso. Che sono poi quelle che vediamo tutt’intorno a noi ogni giorno, per certi versi.
Come dicevamo, a febbraio è uscito l’ebook Lovecraft’s Innsmouth, Claudio e Vergy di nuovo insieme! Il racconto, di un centinaio di pagine, faceva parte di un’antologia con altri autori, Cthulhu Apocalypse, per la Dunwich Edizioni, ed è stato un successo. Basta leggere le recensioni su Amazon per farsi un’idea. Ed ecco la sorpresa per il tuo pubblico adorante, oggi è uscito Lovecraft’s Innsmouth – The Novel, un vero e proprio romanzo che comprende l’ebook che conosciamo, ma ampliato di alcuni episodi e il resto della storia che ci ha lasciato col fiato sospeso in questi mesi. Il romanzo contiene anche un’esaustiva ed erudita prefazione di Franco Pezzini*, saggista e critico letterario, da leggere con attenzione per poter meglio comprendere ciò che concerne l’universo lovecratfiano, corredata da cenni storici che hanno senza dubbio fornito a Lovecraft stesso gli spunti per crearlo. Bene, dicci come hai sviluppato quest’idea, quanto ti ha appassionato questo progetto… insomma, dicci tutto il possibile!
Non so se il pubblico sia adorante, anche perché tutto sono tranne che una pin up, spero sia però interessato, questo sì. Tutto è iniziato da un libro. Cosa non sorprendente, immagino. Si trattava di un’antologia firmata da diversi autori, alcuni celebri (l’immancabile King), altri meno, che scrivevano in un’epoca compresa tra il 1950 e i nostri giorni. Racconti senza altra relazione tra loro che non fosse il mondo di H. P. Lovecraft. Racconti che citavano sia personaggi già comparsi nella produzione del solitario di Providence che altri inventati dai diversi autori ma comunque in linea con la sua celeberrima cosmogonia e il mondo da lui immaginato.
Trovai tale antologia casualmente in biblioteca frugando tra gli scaffali in cerca di qualcosa che potesse solleticare la mia ormai incallita curiosità. Devo dire che pur riconoscendone le indubbie doti, non sono mai stato un lettore troppo convinto delle opere di Lovecraft, ma quell’antologia mi attirava. Prometteva una visione più recente di un universo immaginativo unico nella storia della letteratura (non “di genere”, ma della letteratura tutta).
Era il libro che avrebbe potuto dirmi come Lovecraft era “sopravvissuto” e come era stato “traghettato” tra i lettori 2.0.
La curiosità era stimolata.
Lo presi.
Il tempo di aprirlo e di leggere qualche pagina per scoprire che tale libro non esisteva. Non quello che avevo creduto io, almeno. Gli autori semplicemente imitavano lo stile di Lovecraft con il torto però… di non esserlo.
Sono arrivato in fondo come sono arrivato in fondo all’unica maratona cui ho partecipato nella mia vita. Stringendo i denti e rotolando sui coglioni.
Feci leggere l’antologia a un amico (un vero talebano degli Old Ones) e anche lui – pur manifestando il doveroso e mistico rispetto nei confronti del suo idolo e di coloro che, scrivendo, vi tributano il doveroso omaggio – ammise che “i racconti non dicono molto”.
E se non dicono molto che racconti sono?
Quantomeno non dicono nulla che Lovecraft non avesse già detto. Allungavano il brodo per motivi editoriali.
Iniziò una lunga discussione che vi risparmio e che si può riassumere in poche parole: E’ possibile oggi scrivere “su” Lovecraft dicendo qualcosa di nuovo e non stucchevole e prevedibile senza tuttavia tradirne lo spirito?
Si poteva perlomeno tentare. Ecco quindi Lovecraft’s Innsmouth.
Per me era importante creare una cornice d’atmosfera, una storia che non fosse la ripetizione di tante altre e che… giocasse con le aspettative del lettore esperto che, per quanto smaliziato, non può non aspettarsi ciò che tanti romanzi e film lo hanno condizionato ad aspettarsi.
Non volevo personaggi che dovessero ri-scoprire da capo quanto Lovecraft nella sua produzione ci aveva già detto. Volevo si avvicinassero a tale mondo con ovvio scetticismo, ma non con sufficienza. Che fossero in grado di valutare le situazione, insomma, con un occhio disincantato, un filo di buon senso e senza che il loro atteggiamento fosse condizionato da … necessità letterarie.
Al lettore stabilire se l’esperimento è riuscito.
Sempre in Lovecraft’s Innsmouth – The Novel, nella versione cartacea (uscirà prima in digitale) troveremo un bonus, ben 40 pagine in più di un romanzo futuro con i nostri amati Claudio e Vergy, o come dici tu: il dinamico duo. Il titolo sarà E a volte si muore, ammetti che ci stai viziando!
Che rapporto hai con il tuo pubblico?
Sono fortunato, chi mi legge mi ha sempre mostrato stima, affetto e grande attenzione verso ciò che scrivo. Spero di meritarli, questi super lettori, e, come dicevo prima, spero di poter fare ancora meglio.
Scrivere horror in Italia, sfogati.
Diciamo che l’horror scritto da un italiano in Italia attira molto poco. Anche qui ci sono eccezioni, ma in generale gli attuali lettori mostrano di preferire prodotti stranieri. I motivi si possono comprendere: altre atmosfere, altra varietà e il pregio di poter davvero “evadere” dalla quotidianità. Non è casuale che il mostro di Loch Ness se ne stia infrattato in Scozia e non, per dire, all’idroscalo di Milano. Altri bravi scrittori combattono questa realtà, e lo fanno al meglio. Io sono più portato a concentrarmi sulle storie e sui personaggi, cercando di raggiungere quella condizione in cui il luogo geografico dell’azione diviene ad un tempo importante e trascurabile.
Intorno, poi, ruota un mondo dove il sostegno è limitato e dove spesso ci si frammenta in piccoli feudi ognuno portatore della Sua verità, sulla quale non è ammesso transigere. Un po’ come nella favola dei tre ciechi e dell’elefante. Non stupisce, dunque, che autori emergenti o comunque capaci sconfinino sempre più spesso in altri generi, o decidano di scrivere direttamente in inglese, per un pubblico anglosassone. Il problema, in Italia, è che puoi essere capace o meno, ma se ciò che scrivi non interessa a prescindere tanto vale allora scrivere solo gli auguri per Natale.
Uno sproloquio in perfetto Vergnani style su quello che ti pare: politica, libri, terrorismo, vita e morte, paura e coraggio, vampiri, zombie, gattini e unicorni… Insomma, hai libero spazio!
C’è chi sostiene che sia importante per chi scrive e si promuove far conoscere le proprie idee, la propria identità, le proprie abitudini. Forse. Per carattere, sono portato a sperare che a un lettore interessi ciò che scrivo, non se preferisco i cani ai gatti o se a casa mi vesto da donna. E poi nei miei romanzi c’è tutto ciò che c’è da sapere di me. Salvo, direi, la mia visione degli unicorni. A meno che tu non intenda parlare di corna in generale. Nel qual caso, biograficamente parlando, ci sono anche quelle. E, come si dice, un unicorno non basta. Nel mio caso, forse nemmeno un cesto di lumache.
Sulla politica posso soltanto dire che si tratta di un meccanismo che può funzionare solo se trova rappresentanti capaci da un lato e cittadini responsabili dall’altro. Ognuno può quindi tirare le somme.
Pessimista, ottimista o realista?
In tempi di crisi ci si crede realisti, si mira all’ottimismo e si finisce poi per cedere al pessimismo. O viceversa, si è pessimisti perché si vuole essere realisti, e poi, esasperati, ci si butta a corpo morto in un ottimismo consolatorio ma scarsamente ragionevole. Cerco di mantenere un equilibrio, per quanto difficile. Di capire che tali oscillazioni sono naturali.
Viviamo in un’epoca di rabbia, paura, disorientamento, dove alzare la voce è la prassi. Non è la prima ma è la più importante. Ciò che verrà deciso in questi anni influenzerà pesantemente il futuro per tantissimo tempo, e non è sempre stato così. Ci sono state epoche statiche o perlomeno neutre. Ora (almeno a mio parere) il mondo è alla prova del fuoco, il che può anche essere una buona cosa, perché se ben gestito il cambiamento può portare alla crescita. La cattiva notizia è che detto mondo non mi pare possa vantare figure di grande statura per superare l’ordalia. E a volte ho l’impressione che nemmeno gli interessi.
Altri progetti futuri, oltre alle belle news che abbiamo dato?
A volte si muore, come ricordato, e un noir per Nero Press, entrambi già preventivati. Poi si chiude baracca e burattini e si ritorna lettori, che è attività tanto più difficile che essere scrittori. E poi l’importante è aver tentato al proprio meglio. Come disse Rui Barbosa, la sconfitta è dolorosa, ma è nulla al confronto della vergogna di non averci nemmeno provato.
Grazie Claudio, è stato un piacere come sempre 😉
Grazie a te. E a chi ha avuto la bontà di seguirci.
*Lovecraft’s Innsmouth – The Novel da oggi è disponibile su Amazon, Ibs, Mediaworld, isomma sui maggiori store online. Tra un mesetto circa sarà distribuita la versione cartacea, vi daremo informazioni più precise appena possibile 😉
*Franco Pezzini (Torino, 1962), laureato in Diritto Canonico con la tesi Esorcismo e magia nel Diritto della Chiesa, è studioso dei rapporti tra letteratura, cinema e antropologia, con particolare attenzione agli aspetti mitico-religiosi e al Fantastico. Tra i fondatori della rivista ‘L’Opera al Rosso’, è membro del Comitato editoriale de ‘L’Indice dei libri del mese’, della Redazione di ‘Carmillaonline. Letteratura, immaginario e cultura di opposizione’, e collabora alla rivista online ‘LN │ librinuovi.net’. Ha pubblicato i saggi Cercando Carmilla. La leggenda della donna vampira (Ananke, 2000); con Arianna Conti, Le vampire. Crimini e misfatti delle succhiasangue da Carmilla a Van Helsing (Castelvecchi, 2005); con Angelica Tintori, The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo (Gargoyle Books, 2008) e Peter & Chris. I Dioscuri della notte (Gargoyle Books, 2010); oltre ad articoli in antologie saggistiche e riviste di vario genere. È Vicepresidente del Comitato Scientifico di Autunnonero, Festival Internazionale di Folklore e Cultura Horror, e cofondatore del tavolo di scrittori e ricercatori Libera Università dell’Immaginario, con cui tiene da anni corsi monografici. ‘Giap’, il sito dei Wu Ming, lo definisce “massimo esperto italiano di letteratura fantastica-horror vittoriana”.